La Spagna al bivio – Intervista ad Attilio Di Lauro (I parte)

La situazione creatasi in Spagna all’indomani delle elezioni del 20 dicembre scorso ha subito destato interesse. Alla crisi economica e alle ataviche storture dell’architettura costituzionale (si pensi al difficile rapporto tra governo centrale e regioni e alle forti istanze autonomistiche ove non indipendentiste di alcune di esse) si sono aggiunti nuovi problemi di matrice sociale, frutto di cinque anni di conclamata austerity. Su tutto incombe ora il pericolo di uno stallo istituzionale, causato dal fatto che per la prima volta nella storia della Spagna post-franchista nessuno dei due grandi partiti sinora avvicendatisi al potere (il socialdemocratico PSOE e il popolare PP) ha la maggioranza necessaria per formare un Governo –anche solo grazie all’astensione in parlamento dei tanti piccoli, ininfluenti partiti localisti. Nel corso di questi anni, infatti, sono emersi due interessanti soggetti politici (Podemos a sinistra e Ciudadanos al centrosinistra) capaci di spezzare un bipolarismo che sembrava essere l’ultima costante della Spagna contemporanea. Sullo sfondo, resta una necessità di profonde riforme (politiche, istituzionali ed economiche) che ricordano molto la situazione conosciuta dall’Italia dopo le politiche del 2013. Non per niente, Felipe Gonzalez (storico segretario del PSOE e premier dal 1982 al 1996 ha dichiarato che in Spagna si avrà “un parlamento all’italiana, ma senza gli italiani”.
Abbiamo pensato, allora, di farci raccontare questo momento particolare per lo Stato iberico da una persona che lo conosce molto bene. Attilio Di Lauro, militante del PD (di cui è anche stato coordinatore cittadino a Nola), oggi vive a Madrid, dove insegna all’università. Questa la nostra intervista, divisa, per comodità, in due parti (posteremo la seconda a breve).  Ringraziamo fin da ora Attilio per la disponibilità e vi invitiamo a seguire il suo giovane blog (http://attiliodilauro.net/).

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D.: Partiamo, per così dire, dalla fine: secondo te, quale sarà l’esito finale di queste elezioni? Nascerà un governo, o si andrà a nuove elezioni? Quale credi che sarà alla fine la coalizione di governo più probabile?
R.: È una domanda a cui è davvero difficile rispondere. In questo momento in Spagna regna l’incertezza, anche perché la politica e il popolo spagnoli non sono abituati a situazioni simili. Pedro Sanchez, il leader socialista, sta cercando di creare una coalizione “del cambio”, anche se non è del tutto chiaro chi dovrebbe partecipare. Ogni previsione, in questo momento, sarebbe un azzardo. Tuttavia, se proprio dovessi scommettere un euro,  lo punterei su nuove elezioni, per una serie di ragioni che magari vedremo dopo, anche se (ripeto) uno scenario diverso non mi sorprenderebbe.

D.: Cosa pensano gli spagnoli all’indomani di queste elezioni?
R.: Come dicevo prima, sono molto disorientati. È una situazione al tutto nuova per loro. Cercano tutti di capire cosa passerà.  Si respira da un lato un’aria di speranza che questo voto possa finalmente cambiare le cose ma dall’altro c’è anche il timore di una  pericolosa ingovernabilità.

D.: Sappiamo che il sistema politico spagnolo è sempre stato abbastanza caotico, almeno dal punto di vista del rapporto centro-periferia. Quanto ha influito quest’aspetto sulla consultazione?
R.: Certo, le ultime tensioni con le forze autonomiste e indipendentiste  hanno svolto un ruolo nel calo e nella delegittimazione dei grandi partiti tradizionali, ma non decisivo, in mia opinione.
In Spagna c’è sempre stata la presenza di gruppi regionali e autonomisti, e molte amministrazioni locali sono guidate da forze a carattere locale, non solo in Catalogna. Tuttavia, a livello nazionale c’è stata sempre alternanza, dalla caduta del franchismo, tra governi monocolore PPE o PSOE, e questo oggi è cambiato più per l’emergere di nuove forze a carattere nazionale che per le relazioni con la periferia.

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D.: In queste due settimane molti commentatori hanno notato una somiglianza del risultato elettorale spagnolo con quello che abbiamo visto in Italia dopo le politiche del 2013. Proviamo ad analizzare le affinità e divergenze più evidenti tra i due scenari.  Noti particolari differenze o analogie tra i leader italiani e quelli spagnoli?
R.: Ci sono alcune similitudini nei risultati, date soprattutto dalla presenza forte di formazioni nuove e dalla mancanza di una maggioranza chiara, ma anche molte differenze. In  primo luogo, i sistemi elettorali sono diversi e il sistema istituzionale anche è profondamente diverso. Qui non v’è, ad esempio, il bicameralismo perfetto come invece è da noi, fino a oggi.  Come in Italia, tuttavia, vi sono leader che rappresentano un’idea di “uomo nuovo” e che sono Iglesias e Rivera (Ciudadanos), e il primo ha una qualche analogia con Grillo  anche se anche molte differenze) , mentre il secondo chiaramente tende a copiare (almeno nello stile) Matteo Renzi.  Anche Sanchez sembra affascinato dal “Renzi style”,  più volte lo si è visto in maniche di camicia (bianca) in campagna elettorale anche se,  a differenza del nostro presidente, sembra più essere un “restyling” del PSOE che un vero e proprio “rottamatore”. Rajoy, invece, è più simile a un politico della nostra prima Repubblica, e non vedo nessun Berlusconi sulla scena politica spagnola.

D.: Quanto sono vicini il Movimento di Grillo e Podemos di Iglesias? L’’intransigenza ad ogni costo, il costante rifiuto di compromesso con i partiti tradizionali adottate sia da Podemos che da M5s, credi siano strategie politiche che a lungo andare premiano, o alla fine in Spagna, come in Italia, sono sempre i moderati l’ago della bilancia?
R.: Iglesias e Grillo sono molto più lontani di quanto a prima vista potrebbe sembrare. Podemos è un partito chiaramente di sinistra e parte “dal basso”, cioè sommando una serie di piattaforme sociali e di protesta che hanno creato una sorta di rete. Dal punto di vista ideologico, inoltre, sono più vicini allo Tsipras della prima ora che al M5S. Non sono anti-UE, ma hanno in testa una  molto fumosa) idea di riforma della struttura europea.  Inoltre, a livello locale almeno, finora hanno già fatto accordi di governo con altre forze politiche, dando ad esempio il governo al PSOE in alcune amministrazioni locali. A livello nazionale, pare le cose potrebbero andare diversamente, ma credo più per calcolo  politico che per altro, anche perché il bacino elettorale dei moderati si è sempre più eroso dopo anni di crisi, e oggi rabbia, voglia di nuovo e speranze  anche illusorie spesso) caratterizzano la scelta dell’elettorato. Se dovesse essere strategia vincente, vedremo.

D.: Quali sono seconde te i principali punti programmatici che hanno spinto così in alto Podemos?
R.: La cosiddetta “Ley  25 de  emergencia social” ad esempio, cioè una serie di misure economiche straordinarie che dovrebbero aiutare i ceti sociali più in difficoltà (come sfrattati, famiglie numerose, minoranze, pensionati). All’interno di questa proposta di legge c’è la presenza anche del reddito di cittadinanza, cioè di un salario minimo a tutti coloro che non hanno altre entrate. Che siano realizzabili economicamente, quest’è tutt’altra storia.
Un altro aspetto che ha sicuramente spinto in su il partito di Iglesias è senza dubbio l’atteggiamento di apertura che ha mostrato verso gli indipendentisti. Podemos è l’unico dei partiti nazionali che è a favore dell’indizione di un referendum in Catalogna per decidere se continuare In Spagna o essere Nazione Indipendente.

D.: C’è qualche correlazione di programma o ideologia tra PSOE e Podemos che potrebbe rendere possibile un’alleanza di governo?
R.: Va premesso che la semplice somma PSOE+Podemos non avrebbe i numeri per un governo, avrebbe bisogno anche dell’appoggio di Izquierda Unida e di qualche formazione regionale  (per farcela sul filo del rasoio) oppure almeno l’astensione, se non l’appoggio, di Ciudadanos (il partito centrista, quarta forza politica).
Detto questo, comunque, sicuramente ci sono punti d’incontro . D’altronde, come detto, in varie comunità autonome e municipi già sono al governo insieme le due forze. Innanzitutto i due partiti possono trovare un accordo sulle diverse proposte da portare in Europa per un cambio effettivo di politica economica, seguendo la linea e le indicazioni di Matteo Renzi (come tra l’altro Sanchez ha detto esplicitamente in campagna elettorale).
Le due compagini inoltre condividono l’idea di intavolare un dialogo con gli indipendentisti catalani (anche se con ricette diverse) per evitare rotture definitive. Anche l’attenzione alle classi più basse e disagiate che ambedue i partiti hanno potrebbe essere una buona base. Ma anche le differenze, soprattutto metodologiche, sono tante, e inoltre ho la sensazione che Iglesias abbia intenzione di andare a nuove elezioni (anche se tentando di dar la colpa al PSOE) perché convinto che una nuova tornata elettorale potrebbe fargli fare il sorpasso sui socialisti (e forse sogna anche sul PP) e giocarsi quindi le sue carte per la presidenza del governo. Vedremo.

(fine prima parte)

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